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Top of the Sport: Adriano Meacci

Una leggenda del calcio grossetano ai nostri microfoni

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GROSSETO - Un calciatore unico nell'ambiente grossetano, un centravanti vero. Un piede sinistro praticamente infallibile nei calci di rigore, e letale nei sedici metri. Fortissimo nel gioco aereo, dotato di grande personalità e fornito di una sapienza tattica superiore alla media. Adriano Meacci nasce nel 1966 a Francoforte, in Germania. Muove i suoi primi passi nei campi di calcio nelle giovanili del Braccagni, per poi disputare otto stagioni nelle file del Grosseto. Per lui un campionato in Serie C2 nel Ponsacco, ma la consacrazione avviene a San Donà di Piave: il bomber di Francoforte vive delle stagioni magiche, diventando capocannoniere e trascinando a suon di gol la squadra dall'Interregionale allo storico traguardo della C2. La pioggia di reti con cui Meacci affonda gli avversari non passa inosservata, e la svolta che vale la carriera non tarda ad arrivare. Il presidente del Perugia Luciano Gaucci lo porta in serie B, dove Meacci contribuirà anche con le sue reti alla conquista della massima Serie. Uno dei punti più alti della carriera lo vive in uno storico Perugia - Brescia 3 - 1, in cui Adriano Meacci si erge a protagonista assoluto infilando una magica doppietta. Meacci, dopo aver completato una strepitosa carriera con altre esperienza in Serie C, non abbandona la passione per il calcio diventando allenatore. Al momento, l'ex giocatore di Grosseto e Perugia è il coordinatore del Settore Giovanile della società biancorossa. In questa intervista, Meacci ricorda con piacere la sua esperienza da calciatore biancorosso, per poi sottolineare le attuali difficoltà dei settori giovanili maremmani.

Cosa significa giocare nel Grosseto per un grossetano?

"Per chi cresce nel settore giovanile del Grosseto arrivare alla prima squadra è l'obiettivo principale, il coronamento di un sogno. I primi idoli calcistici sono i giocatori che vestono la maglia del Grifone (per me sono stati Borghi, Bistazzoni, Dolsoe senza dimenticare i rigori calciati da fermo di Tendi) e il massimo è andare a fare il raccattapalle per vederli all'opera da vicino. E puoi vuoi mettere fare due tiri nel prato dello Zecchini durante l'intervallo? Da giocatore ogni volta che uscivo dal vecchio tunnel (lato curva sud) vivevo un'emozione nuova e particolare. Potevano esserci 5000 persone (come in Grosseto - Poggibonsi del primo anno di Camilli) oppure pochi affezionati come è spesso successo negli anni bui della promozione, ma era la stessa cosa. Qualche volta il giocatore di Grosseto finisce di più nell'occhio della critica rispetto a quello che viene da fuori, ma in questo tutto il mondo è paese e devo dire che ancora oggi (a più di 10 anni dall'ultima stagione) molti mi fermano per strada e ricordano con affetto i miei trascorsi in biancorosso". 

Quali sono i personaggi che ricordi con maggior effetto nell'esperienza biancorossa?

"Purtroppo le mie undici stagioni con la maglia del Grifone hanno coinciso con il purgatorio dei dilettanti, e questo rappresenta per me un cruccio indelebile, soprattutto vedendo dove poi è arrivato il Grosseto. Ma sono tanti i volti che hanno segnato la mia carriera come ad esempio Nilo Palazzoli, uno dei primi allenatori che ho avuto nel settore giovanile: una grande figura, bastava uno sguardo e si capiva subito che era il caso di fare sul serio. Antonio Trebiciani è stato il Mister che mi ha fatto debuttare in prima squadra e come il primo amore non si scorda mai. Franzot (con cui abbiamo raggiunto la vittoria del campionato di promozione), e un mito come Lamberto Pazzi rimarranno per sempre nel mio cuore. Storiche le figure del d.s. Romano Sebastiani e del massaggiatore Francesco Tognelli, senza dimenticare il presidente Alvaro Amarugi. Qui mi fermo perché se dovessi citare i tanti compagni di squadra che ho avuto continuerei all'infinito sfogliando l'album dei ricordi."

Quanto è stato complicato passare dai dilettanti ai professionisti?

"Come si suol dire "ho fatto tanta gavetta", quindi il passaggio a 25 anni dal Grosseto in serie D al Ponsacco in C2 è stato naturale. Il mio arrivo tra i professionisti è stato molto "sudato": dopo 11 anni di Grifone nei dilettanti ho rischiato davvero di mollare, come del resto avevano fatto molti miei compagni delle giovanili che sicuramente avrebbero meritato ben altra carriera. I due nomi che mi vengono in mente a questo proposito sono Giacomo Aprili e Francesco Bindi che non sono arrivati tra i professionisti solo perché non hanno trovato la "porta" giusta. Come sappiamo, nel calcio oltre alle qualità tecniche occorre farsi trovare al posto giusto nel momento giusto".

Perchè non ci sono più grossetani capaci di arrivare in prima squadra ritagliandosi una posizione da protagonista?

"Sono tanti i motivi a mio avviso: alcuni talenti maremmani ci sono in giro per l'Italia, e adesso le società importanti di serie A vengono a prendersi i più bravi in giovane età e di fronte a certe richieste nessuno riesce a trattenerli. Nel nostro comprensorio non ci sono squadre di serie D e Lega Pro Due (escludendo l'unica realtà come quella di Gavorrano) dove i giovani ancora non del tutto maturi possono maturare e mettersi in mostra. La concorrenza è globalizzata, perchè adesso le squadre giovanili importanti investono molto sui giocatori stranieri: la strada per i nostri giovani è davvero in salita, e ci vogliono tanti requisiti per arrivare nel calcio che conta. Le statistiche sono impietose: arrivano in pochissimi, e quindi visto che il nostro territorio è poco popolato non possiamo contare sul fattore numerico. Comunque, in qualità di allenatori, è nostro dovere aggiornarsi continuamente e le società devono mettere a disposizione strutture adeguate (e anche qui si materializzano altre note dolenti). Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda le abitudini attuali delle nuove leve: la mia generazione si è formata sui campetti di "strada", oggi ai bambini manca quello spazio e rimanendo sul divano (o con le varie consolle) è difficile diventare calciatori."

 

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