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SOLO LA TRASPARENZA E IL CASO SALVERANNO IL SISTEMA FINANZIARIO ITALIANO

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“Forse il peccato originale dell’Ufficio Analisi Quantitativa della Consob è l’aver chiesto regolamenti che rendevano automatica la pubblicazione e la divulgazione dei rischi degli investimenti finanziari proprio attraverso le probabilità, in maniera che tutti sul mercato potessero sapere chi rischiava e quanto rischiava. Ma questa trasparenza riduce i margini di azione di chi preferisce gestire i controlli in maniera più personale”.

Così scriveva, con buon senso comune, Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 29 gennaio 2013, prendendo spunto dallo scandalo, anzi, dagli scandali seriali che stavano emergendo attorno al Monte dei Paschi di Siena, con riferimento alla pressoché totale assenza di intervento della Consob in questa vicenda. E ciò a poca distanza dall’aver concesso alla famiglia Ligresti la massima libertà di manovra nei suoi rapporti in conflitto di interesse con il gruppo Fondiaria-Sai.

Un mio grave rammarico è che critiche di tale natura provengano dal mondo della carta stampata e non dall’interno della comunità finanziaria stessa, salvo rare eccezioni. Ma ancor più grave è che la cronaca finanziaria stimoli commenti e giudizi morali, ma nessuna elaborazione concettuale su come contrastare il futuro il ripetersi di analoghi episodi di criminalità finanziaria. Sembra prevalere un diffuso fatalismo.

Un intervento che la prossima legislatura dovrebbe approvare senza indugi è la definizione meno accomodante di “falso in bilancio” e l’appesantimento delle pene relative. Questo certamente aiuterebbe la deterrenza nei confronti di comportamenti quali quelli tenuti dal top management del Monte dei Paschi, e più in generale nei confronti dei reati finanziari dei colletti bianchi.

Tuttavia questo non basta. Se si scorrono i resoconti di questa ultima vicenda di malaffare emerge che i contratti derivati incriminati furono firmati dal top management della banca, apparentemente grazie ad ampi poteri ad esso delegati, e poi messi in cassaforte all’insaputa dello stesso Consiglio di Amministrazione, che mai ne discusse formalmente.

Di fronte a siffatti comportamenti apparentemente non esiste difesa (“Anche Banca d’Italia e Consob poco possono contro la malafede di chi nasconde documenti nelle casseforti …” Salvatore Bragantini, Corriere della Sera del 30.1.2013).

A meno che …

                   … a meno che Monsieur de Lapalisse ci ricordi che, in ogni accordo contrattuale (inclusi i contratti sui derivati), le parti in causa sono sempre almeno due.

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