Nel linguaggio corrente, e nel senso comune, “crisi“ è un termina che significa genericamente una situazione gravemente negativa, al limite catastrofica.
Ma nel suo etimo autentico si tratta di cosa assai diversa: “Krisis“, in antico (il greco “antico”, quello della classicità), significa né più né meno che “ discussione “.
E dunque, una situazione di “ crisi “si ha, giustappunto, quando viene messo in discussione un determinato assetto delle cose che, fin lì, appariva funzionante e funzionale.
Ovvero la “crisi” è la conseguenza di uno stato delle cose che non funziona più come dovrebbe, e, insieme, la premessa ineluttabile di un cambiamento che non si può più rinviare.
E’ un termine che si applica alle più diverse fattispecie: si va dalle “crisi“ respiratorie o cardiache delle patologie del corpo umano, a quelle geopolitiche e militari del sistema delle relazioni internazionali, a quelle di specifici settori produttivi.
Quella di cui si parla continuamente da sei – sette anni in qua, è una crisi economica globale, planetaria, innescata a sua volta da una crisi finanziaria di caratteristiche e dimensioni non affrontabili con gli ordinari strumenti che, con alterne fortune, vengono impiegati per tenere a bada la speculazione pura che può insinuarsi e infettare, potenzialmente, ogni operazione finanziaria.
In pratica, i valori di scambio dei titoli mobiliari ( azioni, obbligazioni, buoni e certificati del tesoro etc. delle varie aziende e Paesi ) nella circolazione finanziaria globale erano stati “ gonfiati” da imponenti operazioni speculative fino a costruire una sorta, come si usa dire, di gigantesca “bolla“ che falsava le gerarchie dei rapporti reciproci e in genere di tutta la misurazione, appunto, di tali valori.
Nel biennio 2007 – 2008 tale “bolla” esplodeva, con effetti diversamente devastanti nelle varie aree geo - economiche del Pianeta ma comunque con una violenza tale da rimettere obbligatoriamente in discussione ( “ Krisis” ) meccanismi, equilibri, rapporti consolidati da decenni.
Più o meno rappezzate le cose (utilizziamo il termine “ rappezzate” perché più indicatori segnalano continui tentativi di rigonfiare la “bolla” impecettata e incerottata) sotto il profilo finanziario, gli effetti di questa esplosione si sono trasferiti - come nel 1929, come sempre - sul piano dell’economia reale, dissestando interi sistemi produttivi, di settore, nazionali e internazionali; svelando e facendo esplodere a loro volta altre “bolle “, coi molte realtà, compresa la nostra, con effetti a catena ancora in corso di sviluppo.
Non è ambizione né possibilità di queste quattro righe entrare nell’infinito – e, sovente, assai poco produttivo – dibattito su responsabilità e modalità di una possibile inversione di questa fenomenologia ancora ben lungi dall’essersi esaurita, su cui illustri accademici delle varie scuole di pensiero sviluppano - con toni tanto più accesi quanto più appaiono evidenti le responsabilità proprio di alcuni di taluni dei dibattenti nel disastro presente – nel corso di questa “discussione” (“ Krisis” ) davvero non più rinviabile.
Ci limitiamo, sommessamente, a ricordare che altro sono i tempi delle diatribe accademiche sui modelli e sulle ricette, altro le esigenze “ in corpore vili” nel concreto vissuto di ogni attività economica e della vita di ciascuno di noi.
E, quindi, ad auspicare che quanti hanno responsabilità e potere decisionale, tengano in primo e assoluto conto queste esigenze, e si affronti perciò la “ Krisis “, la discussione in atto prendendo e praticando scelte che segnino una frattura la più decisa e netta con uno stato di cose non più tollerabile, e comunque esaurito, spento, morto lasciando tutto il tempo, gli onori e le gradite prebende ai dotti discettatori di cui sopra per sbrogliare le loro divergenze.
L’importante, in verità, è che non accada, nel mentre che si accordano, all’economia reale e alle genti che del funzionamento di questa vivono, ciò che accadde al ciuco dei Montierini, della cui morte si andavano lamentando con queste parole: “ .. proprio ora che gli s’era insegnato a campà senza mangia’, o non ‘c’è andato a morì, ‘sto ‘ngrato ! “