GROSSETO - “Penalizzare il settore zootecnico, del pomodoro, quello olivicolo e quello del grano duro significa uccidere l’agricoltura della nostra terra.”. Agrinsieme, per mezzo di Confagricoltura e Cia Grosseto, chiede una maggiore attenzione verso l’agricoltura toscana e lancia un appello a Luca Sani, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera, perché si trovi una soluzione che salvaguardi la nostra economica.
Ma entriamo nel dettaglio della questione. La nuova Pac prevede un sistema di pagamenti diretti, ove è stato superato il metodo di calcolo su base storica ossia con il sistema regionalizzato, passando a un pagamento base dal 2015 che dovrà essere uniforme a livello nazionale, con il sistema nazionalizzato.
A solo titolo di esempio, le aziende del nord con il sistema regionalizzato percepivano circa 580 euro a ettaro come quota base storica, mentre alle regioni del centro Italia, come la Toscana, erano erogati 200 euro a ettaro.
Con la nazionalizzazione del sistema, invece, tutte le regioni percepirebbero 300 euro a ettaro come quota base. In sostanza si avrebbe un guadagno per le regioni come la nostra e ad una perdita di oltre 200 euro per quelle del nord. Agrinsieme è convinta che proprio per questa ragione,
vi sia stata una manovra politica per “rifondere” di questa perdita le aree del nord Italia. Come? Con i premi accoppiati, vale a dire con una aggiunta alla quota base da erogare in funzione del tipo di produzione. Contravvenendo al requisito principale per l’erogazione dell’aiuto accoppiato, vale a dire
che il settore beneficiato sia a rischio e patrimonio comune, il Ministero avrebbe stralciato comparti produttivi come quello della zootecnia ovina, del pomodoro, dell’olivicoltura e una produzione come il grano duro, preponderanti nella nostra economia agricola, con risultati che sarebbero devastanti.
L’ANALISI DI AGRINSIEME
Agrinsieme giudica sbagliato non dare contributi al settore ovino. Occorre sostegno alle imprese, consentendo loro un aiuto accoppiato. In questo caso per aiuto accoppiato si intende un premio dato ad ogni capo adulto iscritto all'anagrafe ovina nazionale e non, come si vuol fare passare, un contributo soltanto agli agnelli certificati igp, ai montoni selezionati e a chi pratica pascolo estensivizzato (con una densità limitata di capi su una estensione territoriale di ettari). Si ricorda che la produzione di agnelli da carne è una percentuale limitata del settore, che merita sostegno, ma che non può essere esclusivo elemento catalizzatore degli aiuti al comparto in cui l’attività lattiero casearia è preponderante e rappresenta oltre l’ 85 % del PIL agropastorale. Come si può non aiutare questo settore, in cui gli ovini sono un presidio per i territori marginali e svantaggiati e per il mantenimento dell’equilibrio idrogeologico di queste aree, che altrimenti sarebbero abbandonate a se stesse con tutti i rischi annessi e connessi? Consideriamo che la pastorizia maremmana, che conta 200mila capi molti dei quali soggetti a predazione, non gode di un reddito elevato ed ha una scarsa capacità di aggregazione e pertanto necessiterebbe, più di altri, di un sostegno per conservare anche il suo ruolo di presidio territoriale.
Sbagliato dare il contributo accoppiato al settore olivicolo per le province con superfici olivate superiori del 25 % della sau (praticamente solo Liguria, Puglia e Calabria). Occorre trovare un criterio che sostenga le imprese che operano in zone svantaggiate e quelle che operano in zone altimetriche
otre i 200 m sul livello del mare o con pendenze superiori al 15 %. Come si può dare un contributo alla Puglia che è un tavoliere, e quindi vi è più facile il raccolto, rispetto a un territorio montano o collinare come quello maremmano? Perché non si vuole difendere l’immagine di un ambiente e di un territorio, come quello toscano, ove l’olivo è attrattiva per tutti e in particolare per i turisti?
Sbagliato non considerare un aiuto accoppiato per il pomodoro da industria che subisce una contrazione derivante dalla applicazione della degressività parziale progressiva dell’aiuto (una novità assoluta della riforma), che tenderà a penalizzare i detentori di titoli storici elevati come i produttori di pomodoro. Teniamo conto che oggi il contributo per ettaro è di circa 500 euro e con la riduzione progressiva arriverà a regime (2019) a circa 300 euro.
A questo si aggiunge il mancato riconoscimento di un sostegno accoppiato che penalizzerà ulteriormente la coltura. Ci chiediamo: quale industria sarà in grado di pagare la differenza a chi produce? Inoltre, teniamo in considerazione che il premio accoppiato è indispensabile per non uscire
dal mercato e necessario perché altrimenti ci collochiamo in una posizione di svantaggio competitivo a livello europeo, visto che Spagna e Francia hanno optato per l’aiuto accoppiato, e la stessa cosa la sta facendo il Portogallo. Secondo stime, l’introduzione di un aiuto accoppiato per il pomodoro
da industria in Italia, richiederebbe non più di 25-28 milioni di euro, ovvero meno del 5% delle disponibilità per il nostro Paese, ove il costo produttivo del pomodoro è uno dei più alti al mondo e superiore del 20% a quello dei nostri paesi concorrenti.
Sbagliato il contributo a capo linea vacca/vitello limitato agli allevamenti che fanno inseminazione sessata. Il contributo va dato a tutti i capi allevati. Basta con l’erogazione soprattutto a coloro che hanno interesse perché la burocrazia continui ad esistere e che di burocrazia vivono.
Sbagliato non dare un contributo al grano duro, perché è la base dell'auto approvvigionamento agroalimentare di cui ogni Stato dovrebbe riconoscere valenza strategia e importanza valoriale.
Il contributo accoppiato deve servire a sostenere quei settori che hanno valenza presidiale territoriale e importanza sociale e che mostrano particolari sofferenze e non a compensare magari il decremento del titolo base storico derivante dalla nazionalizzazione di qualche Regione che si trova penalizzata.
Sbagliato il sistema di erogazione dei futuri premi ed è errato il riferimento storico al 2013 come pure la base di calcolo sul 2014. Non si può pensare che un’impresa agricola imposti il suo futuro su una singola annualità di riferimento. Sarebbe stato più corretto prendere un periodo di riferimento più ampio e agronomicamente giustificabile ( vedi la triennalità negli avvicendamenti colturali).
Agli sbagli si deve reagire con forza chiarezza e determinazione. Confagricoltura e Cia Grosseto e le imprese agricole che rappresentano sono pronte a rivendicare le proprie posizioni per tutelare il futuro agricolo maremmano. La cornice nella quale si svolge questa conferenza stampa è il chiaro significato che la Maremma è tradizione agricola e impresa agricola e che non può essere distrutta dalla burocrazia e ancor peggio dalle lobbie di settore. Invitiamo, dunque, quanti condividono i concetti sopra espressi ad aderire e a diffondere le idee al fine di generare un fronte comune contro chi pensa di gestire la riforma della PAC in questa maniera.